martedì 28 ottobre 2014

I gamberoni arrosto di zio Br1


Qualche settimana fa presa da una sana voglia di gitarella fuori porta, ma anche vittima di un’insana mania per gli acquisti scellerati su Groupon, mi sono ritrovata a gironzolare per Trieste.
Dopo aver espletato la questione Groupon e dopo un buon capo in B di rito (ma anche di sopravvivenza, perché se nei giorni feriali per tirarmi giù dal letto ci vogliono le bombe, nel weekend alle 6 sono in piedi e volendo alle 7,30 sono in treno, ovvio), gustato col borino che mi scompiglia i capelli e l’impulso irrefrenabile di scialacquare tutti i risparmi racimolati durante la clausura forzata da esami che mi scompiglia le budella, mi lancio nello shopping sfrenato.
Uno shopping degno di Nonna Papera, chiaro.
Dopo aver spulciato e svaligiato tutte le mercerie possibili e immaginabili facendo incetta di nastrini, stoffe colorate e juta (“OMMIODDIO ma quando è rustica e country e adorabile per fare i cappellini ai vasetti di marmellata?!”), dopo aver ripreso le forze in libreria sfogliando, leggiucchiando (e scialacquando), mi si para davanti un negozio con una parete intera coperta di stampi per biscotti. 
Passeggio avanti e indietro per la via, ma alla fine mi arrendo: chi sono io per resistere a cotanta abbondanza?
Carica di buste piene di ogni bendiddio, mi avvio verso la stazione e tò, c’è anche un carinissimo e piccinino mercato.
Massì, facciamo un giretto che sono in anticipo. Verdure fresche, frutta, prodotti locali.
Resisto ai formaggi, resisto al terrano e alla vitovska, e quando sembra che il pericolo “arrivare in treno carica e stanca come neanche un profugo” sia sventato, eccolo, il banco del pesce.
Dei gamberoni rossi fantastici a un super prezzo che ormai il mercato sta chiudendo e devono vendere gli ultimi.
Dei gattucci di mare freschissimi, che a duddine mai una volta che li abbia visti.
È finita, anzi finida. Anzi finidi, i miei soldi, ovviamente. 
Senza alcuna vergogna salgo sul treno con la mia nuvola di dubbi e di bellezza, ma soprattutto con la mia nuvola di odore di pesce.



E arrivata a casa ci provo a dire “stavolta i gamberoni li faccio all’orientale” “stavolta sperimento” “stavolta daghe di zenzero”, ma alla fine non c’è storia.
I gamberoni di zio Br1 sono LEGGENDA.
Mi ricordo, da bambina, ai pranzi di famiglia, che zio ne preparava in quantità importanti, e non so più se erano davvero delle teglie enormi o se il ricordo è magnificato dall’astinenza.
E c’era un profumo inebriante, e c’erano mucchi di gusci e carapaci e montagne di tovaglioli sporchi, e c’erano tante manine sporche di altrettanti cuginetti con sorrisi felici e io che con tutta quella foga mi trovavo sempre qualche antenna in faccia e qualche antenna tra i denti e qualche antenna tra i capelli (questo dettaglio, sfortunatamente per il mio bon ton sono certa che non sia affatto magnificato :D).

Per due:
10-12 gamberoni

Per il condimento:
4 cucchiai d’olio EVO di quello bbbbono
2 cucchiai di succo di limone
2 cucchiai di abba ardenti (acqua vite per i diversamente isolani)
1 cucchiaio d’acqua
1 cucchiaio di prezzemolo tritato
1 spicchio d’aglio tritato
Sale & pepe



Versare tutti gli ingredienti per il condimento in un vasetto, chiuderlo bene e shakerare come se non ci fosse un domani.
Sciacquare i gamberoni sotto l’acqua corrente e disporli in una teglia senza sovrapporli. Cuocerli in forno caldo a 200°C per 10’, giusto il tempo di cambiare colore.


Versare subito il condimento sui gamberoni e coprire con un foglio di alluminio. Far riposare nel forno spento e con lo sportello leggermente aperto (devono stare al caldo, ma senza continuare a cuocersi) per 10’ e servire.


Vietato usare le posate. E, almeno per quanto mi riguarda, obbligatorio succhiare le teste con una gioia un po’ malvagia negli occhi. 

giovedì 17 luglio 2014

Insalata da Tiffany: #questoepiùbello


Buccia, 24 anni, studentessa di Medicina. 
La laurea non è lontana ormai, e i frutti del mio lavoro si iniziano a cogliere: ancora piccoli, ancora acerbi, ma ci sono: due quasi-pubblicazioni.
New England Journal of Medicine? 
Nature?
Tsk.
La prima è stata su QB, una rivista di gastronomia, in cui compare il mio nasone intento ad annusare un calice di Pinot grigio: un bicchiere di buon vino al giorno leva il medico di torno (non era così?!).
La seconda è su questo mitico libro, tutto sulle insalate, in cui compare una mia ricetta: avete presente le "cinque porzioni di verdura al giorno?": punto tutto sulla prevenzione insomma! :D


Eccolo qui, la meraviglia:
TITOLO : insalata da Tiffany
Curatore: Alessandra Gennaro
Casa editrice: Sagep editori
Collana: i libri dell'mtc
Fotografie: Paolo Picciotto
Illustrazioni: Mai Esteve
Impaginazione: Barbara Ottonello
Editor: Fabrizio Fazzari
Prezzo 18 euro
In vendita in tutte le librerie e su Amazon, IBS, ecc.

Argomento: le insalate come non le avete mai viste ;-)
41 ricette di "insalate da Tiffany", ossia le insalate pensate non come contorni o piatti veloci, ma come vere e proprie protagoniste delle nostre tavole, secondo la moda inaugurata da Escoffier & Co al tempo della nascita dell'alta ristorazione. 

Seguono poi 53 "pezzi facili", insalate nel senso più classico del termine.  
In mezzo, tutto ciò che rende un' insalata speciale, originale, diversa ogni giorno: tutti i condimenti possibili e immaginabili: emulsioni stabili e instabili, aceti, olii, sali aromatizzati, citronette, vinaigrette. 
E siccome non è mica un libretto così, ma una roba seria, dentro ci troverete anche note storiche, note tecniche e consigli sulle attrezzature.
E se per caso ancora non avete già cliccato "acquista", ecco un motivo in più per farlo:
acquistando una copia di Insalata da Tiffany, contribuirai alla creazione di borse di studio per i ragazzi di Piazza dei Mestieri (link:http://www.piazzadeimestieri.it/), un progetto rivolto ai giovani oggetto della dispersione scolastica e che si propone di insegnare loro gli antichi mestieri di un tempo, in uno spazio che ricrea l'atmosfera di una vecchia piazza, con le botteghe di una volta- dal ciabattino, al sarto, al mastro birraio e, ovviamente, anche al cuoco. La Piazza dei Mestieri si ispira dichiaratamente a ricreare il clima delle piazze di una volta, dove persone, arti e mestieri si incontravano e, con un processo di osmosi culturale, si trasferivano vicendevolmente conoscenze e abilità: la centralità del progetto è ovviamente rivolta ai ragazzi che trovano in questa Piazza un punto di aggregazione che fonde i contenuti educativi con uno sguardo positivo e fiducioso nei confronti della  realtà, derivato proprio dall’apprendimento al lavoro, dal modo di usare il proprio tempo libero alla valorizzazione dei propri talenti anche attraverso l’introduzione all’arte, alla musica e al gusto.



domenica 8 giugno 2014

The ultimate (polka dots ♥ ) pancakes! [con valori nutrizionali]


Avete presente quelle giornate un po’ così, quelle giornate che ti svegli convinta di avere di nuovo un micio, e dopo 5 minuti realizzi che era solo un sogno. 
  Quelle giornate che più triste che essere una gattara a 24 anni è solo essere una gattara mancata a 24 anni.
Quelle giornate che fuori c’è il sole ma dentro casa regna il buio perché tutte le finestre sono bloccate da dei ponteggi (e ti poni degli interrogativi profondi tipo macheminchia staranno mai facendo);
  Quelle giornate che l’unica stanza non oscurata della casa è il bagno e l’umore è quello giusto per autoinfliggersi un po’ di sofferenza in strappi, finché mentre sei lì che cerchi di dare una mano all’ evoluzione e passare da Australopithecus pelosus a Donna sapiens ecco che un giovanotto baldanzoso ti fa cucù da un ponteggio è l’unica cosa che si strappa è la tua dignità;
  Quelle giornate che tiriamoci su il morale con un po’ di musica! “Anche oggi è domenica / Tutta d’oro / La gente luccica / Mentre osserva le anatre / Inventandosi la felicità / La sorvolo e capisco / Che maledice la mia diversità / Ma nel parco ci abito / È la vita mia / Esser simbolo di paura e di morte / Sono tenebre i miei abiti / I bambini sorridono / mamma, guardalo, che bestiaccia è?“  
Quelle giornate che “oh! Ma ora che ci penso non ho ancora visto com’è finita quella serie tv simpatica, vedrai che un sorriso ci scappa..!” e invece a scapparmi è solo una citazione di Martellone di Boris (per rispetto dei non adepti alla religione della parolaccia -di cui sono una fiera adepta-, mi limiterò a citare “sceneggiatore cane che rubi il lavoro a quelli bravi!” ma devo dire che l’ho sciorinata quasi tutta a memoria, e questo in effetti si, l’umore un po’ me l’ha migliorato).
  Quelle giornate un po’ così, in cui neanche la pet therapy può salvarti, chè tra la tua faccia e i loro tartufi c’è il Tirreno.

 Ecco, per quelle giornate c’è solo una cura.
La Sorellina.
2 ore, 37 minuti e 17 secondi di pura foffosità via etere (che “tanto mamma ha i minuti gratis” (!!!)).
Due paia di orecchie sciolte, due ugole affaticate, un soffocamento sfiorato (ciliegie e risate: un mix potenzialmente mortale), e “ma la pubblichi la ricetta dei pancake?!”
Ma io dico, ma come si fa a dire di no a quella vocina?!

Questi sono i pancake della mia sorellina, che poi sono i pancake alla ricotta di Nigella.
Io però li ho resi a pois, che i pois rendono migliore ogni cosa, e ho aggiunto la vaniglia e la scorza di limone (ma c’è qualche cosa dove non aggiungerei scorza di limone?) :)
Sono STRABUONI, soffici e profumati, leggerissimi (io associo Nigella a parole come “diabete”, “zucchero o morte”, ma alle volte anche lei mi stupisce!), si possono congelare e scongelare all’occorrenza e con un po’ di frutta e dello sciroppo d’acero vi viene fuori una popò di colazione :)



Per 16 pancakes[1] :
250g ricotta[2]
125ml latte parzialmente scremato
100g farina
2 uova
1 cucchiaino di lievito per dolci
1 cucchiaino di estratto di vaniglia
La scorza grattugiata di mezzo limone
½ cucchiaio di semi di papavero

Per servire:
Frutta fresca a piacere (io stavolta fragole e mango, ma anche pesche e albicocche spaccano, e ovviamente idem per  i classici frutti di bosco)
Miele, sciroppo d’acero o sciroppo di miele e limone (shakerando 1 parte di miele e 2 di succo di limone ;) )

Separare i tuorli dagli albumi. Montare a neve ferma gli albumi e tenere da parte.
Lavorare la ricotta con un cucchiaio di legno insieme alla scorza di limone, ai semi di papavero e all’estratto di vaniglia. Aggiungere il latte e i tuorli e mescolare bene. Aggiungere la farina setacciata insieme al lievito e amalgamare il tutto. Unire gli albumi e mescolare il tutto dall’alto verso l’alto, per non far smontare il composto.
Ungere leggermente una padella antiaderente (se avete una padella veramente antiaderente non ce ne sarà bisogno) e farla scaldare bene. Abbassare il fuoco e versare un cucchiaio di impasto, allargarlo con il dorso del cucchiaio in una frittellina di circa 10cm di diametro e far cuocere per circa un minuto, finché i bordi si saranno rappresi e la superficie sarà piena di bollicine, quindi girare il pancake. Cuocere anche sull’altro lato e hop! proseguire fino a esaurimento dell’impasto e servire accompagnato da frutta fresca e un filo di miele, (o sciroppo d’acero o uno sciroppino di miele e limone) e qualche scorzetta di limone :)


Valori nutrizionali per una porzione (2 pancakes):




[1] Secondo Nigella dovrebbero venirne 25, boh!
[2] Io ho usato della ricotta magra e sono venuti daddio. Certo che se avete una ricotta buona di caseificio la risposta giusta è “ricotta magra lo dici a tua sorella!” 

martedì 13 maggio 2014

Ravioli del plin bicolor alle ortiche con fave e piselli freschi


Orbene, anziché tediarvi (PER ORA :D) con le mie ricette dietetiche del momento, questi sono dei super raviolini che ho fatto durante le vacanze di Pasqua.
Lo scenario era oltremodo bucolico: l’Ogliastra in primavera è uno spettacolo, ginestra ovunque e un profumo di macchia mediterranea che non vi dico, giornate soleggiate ma soprattutto, per la prima volta da quando sono all’Università: delle vacanze in cui non avevo UNA CEPPA da studiare.
Ma proprio UNA CEPPA!
E infatti avevo la valigia piena di libri, ma niente sciiiiienza per una volta, solo letteratura e, uhm, cucina, e infatti andavo a letto tardi (dio, tardi per i miei standard di diversamente giovane) e mi alzavo presto: troppe gite da fare, troppe avventure di Hobbit e vicissitudini di fanciulle del 1700 da scoprire, troppi impasti da preparare, cose da cucinare, dei nonnini da importunare e una sorella da strapazzare (di coccole, ovviamente!) :P
A proposito di importunare: "nonnittè, secondo te dove posso andare a raccogliere ortiche?". 
Ovviamente non mi ha suggerito un posto, mi ci ha portato e ne abbiamo raccolto una tonnellata ♥
Io e la sorellina siamo diventate un tutt'uno, e se per caso una qualche attività non incontrava il gusto di una delle due metà (che? Chi ha detto “pulire una tonnellata di ortiche”?) si poteva sempre invocare l’unica Legge, ovvero “un tandem è per sempre”.
Ed ecco quindi che, tra che avevo un sacco di voglia di impastare, tra che avevo un sacco di ortiche e favette fresche del nonno, una cassetta di limoni sempre del nonno (boh, io sono un caso patologico: la metterei veramente ovunque la scorza di limone) e soprattutto avevo un’aiutante legata a me dal patto di sangue del tandem..insomma, non restava via d'uscita: bisognava raviolare.
Ed eccoli qui, dei raviolini super primaverili, bbbbuonissimi  e anche sani! L'apporto calorico non è bassissimo ma non eccessivo se non siete dei micronani come la sottoscritta, e i valori nutrizionali sono in peeeerfetta linea con la dieta mediterranea ;)
Ho un solo rimpianto: non aver immortalato la sorellina che cerca di domare la macchina della pasta imbizzarrita: IMPAGABILI meraviglie di un motore Imperia su una macchina Marcato! :D


Per 8 porzioni:

Per la sfoglia(*):
500g semola di grano duro
2 uova fresche
acqua di vegetazione delle ortiche

Per il ripieno:
400g ortiche cotte
70g Montasio fresco (1 mese)
350g patate lesse

Per il condimento:
20g burro
3 cucchiai d’olio
La scorza di un limone non trattato
Fave fresche tenere a volontà
Piselli freschi teneri a volontà
Basilico a volontà
Grana padano grattugiato a piacere

(*): non è che sono impazzita e penso di impastare 1/2 kg di semola con due uova: nella perenne indecisione tra libidine e morigeratezza ho fatto una pasta (quasi) all'uovo: solo due uova e il resto acqua: un ottimo compromesso e una soddisfazione che non vi dico ;)



Il ripieno: armati di guanti e di santa pazienza, sciacquare le ortiche sotto l’acqua corrente e mondarle, tenendo da parte le foglie e scartando i gambi. Riunire le foglie in una pentola ampia (meglio procedere  in più step per agevolare il lavoro), salare leggermente e mettere sul fuoco, coperto, per 5’: le ortiche si cuoceranno nella loro stessa acqua, conservando tutto il loro sapore e il colore. Lasciar intiepidire, quindi strizzarle (tenendo da parte l’acqua di vegetazione) e passarle brevemente al mixer (oppure tritarle con una mandolina).
Tritare (o grattugiare) il formaggio.
Lavare le patate e lessarle, con la buccia, in abbondante acqua. Scolarle, sbucciarle e schiacciarle in una ciotola ampia. Lasciarle intiepidire. 

Riunire insieme tutti gli ingredienti, mescolare bene con le mani e assaggiare: se necessario regolare di sale.

La sfoglia: fare la fontana con la farina, rompere al centro le uova insieme a un po’ di acqua tiepida e sbatterle un po' con una forchetta. Incorporare pian piano, prima con la forchetta e poi con le mani, la farina fino a inglobarla tutta, nell'impasto. Lavorare energicamente la pasta fino a ottenere un impasto liscio e omogeneo. Dividere l’impasto in due parti uguali, Aggiungere a una metà dell’impasto qualche cucchiaio di verdissima acqua di vegetazione delle ortiche, e lavorare la pasta finché sarà omogeneamente colorata di un bel verdolino. Avvolgere i due impasti con della pellicola e lasciar riposare per almeno mezz’ora.

I raviolini:  prendere un pezzo di pasta alla volta, tenendo il resto avvolto nella pellicola, e stenderla molto sottilmente con la macchina per la pasta (o con il mattarello), in una lunga striscia larga circa 10cm (io ho usato la macchina e sono arrivata fino alla tacca 5). 
Dovreste riuscire a vederci quasi attraverso :) 
Al centro della striscia disporre dei piccoli mucchiettini di ripieno, grandi all'incirca come una noce, distanziati di circa 2cm l'uno dall'altro, fino a coprire tutta la lunghezza della striscia. 

Ripiegare la sfoglia sul ripieno, pizzicarla tra una nocciolina di ripieno e l'altra e sigillare bene tutti i bordi, quindi ritagliare i raviolini con la rotella dentata. É più facile a farsi che a dirsi, e come sempre quando si tratta di Plin, vi rimando al video di Elisa è molto esplicativo in questo senso :)
Disporre i raviolini distanziati tra loro su un vassoio leggermente spolverato di semola e lasciarli asciugare per una mezzoretta.

Il condimento: niente di più semplice (e buono!) sgusciare le fave e i piselli, in abbondanza secondo il vostro gusto. In una padella larga (dovrà accogliere i raviolini), sciogliere il burro con l'olio, aggiungere la scorza del limone grattugiata e le fave e i piselli. Far saltare per un minuto: non devono cuocere, ma solo intiepidirsi.


Cuocere & servire: Cuocere i raviolini in abbondante acqua salata, per 1-2’ da quando vengono a galla, scolarli con una schiumarola (o meglio ancora con un ragno) e ripassarli delicatamente in padella con il condimento.  Servire subito con qualche fogliolina di basilico e, volendo, grana grattugiato a piacere.


Questi sono i valori nutrizionali calcolati su 1/8 di queste dosi, senza il grana. Per farlo ho usato questo meraviglioso servizio dell'INRAN, l' Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione. Ci sono i gastrofighetti e poi ci sono io, una gastronerd insomma! :)



Note:
  • rispetto a come dovrebbero essere, questi ravioli del plin sono più grandi, volevo massimizzare il rapporto ripieno/sfoglia e lo ammetto, quando ho iniziato a farli l'ora di pranzo era pericolosamente vicina :D
  • una parte li abbiamo congelati, appena qualcuno decide che è arrivata la loro ora e li cuoce vi faccio sapere se si meritano l'etichetta "un freezer pieno di.." ;)

lunedì 5 maggio 2014

Pancake salati di funghi con dressing di ricotta caprina


Qui il rientro dai bagordi delle feste è stato una Caporetto.
Con la differenza che i soldati se la filavano a gambe levate, mentre a me le gambe non mi reggono e le mie ultime performances dicono che, dopo un mese di stop agli allenamenti e AVANTI TUTTA di scorpacciate, impiego 7 minuti e ciappilu per correre (???) 1km.
Una Caporetto con, al posto dei soldati, dei bradipi morti, ecco.
E cheffare in queste situazioni disastrose?

1. Agitare la bilancia con veemenza che “non è possibile, la lancetta è impazzita”
2. Agitare lo smartphone con veemenza che “non è possibile, dev’essere runtastic che fa le bizze”
3. Digitare su google “incantesimo dimagrante by Filius Vitious
4. Ritentare con “pozione dimagrante by Severus Piton
5. Arrendersi all’ineluttabilità del proprio destino: LA DIETA.
Ma siccome non siam mica qua a fare la dieta del sedano, ci armiamo di un sacco di funghi e facciamo delle frittelline leggere leggere, saporitissime e che riempiono pure un sacco! ;)


Per 8 pancake - 4 porzioni:
300g funghi champignon
200g funghi pleurotus  
1 cipollotto (solo la parte verde)
1 ciuffo di prezzemolo
2 uova
50g farina 00
50g casu ‘e vita (o feta)
Sale e pepe
Olio

Per la crema di ricotta di capra:
3 cucchiai di ricotta di capra freschissima
4 cucchiai di latte di capra freschissimo


Per i pancake: mondare i funghi, lavarli (o meglio ancora pulirli strofinandoli con un panno umido) e tagliarli a fettine. Scaldare un’ampia padella antiaderente e saltarci i funghi, senza aggiungere grassi, con un pizzico di sale, finché si saranno ridotti di volume e saranno cotti ma ancora consistenti. Meglio procedere in 2-3 volte, per facilitare l’evaporazione dell’acqua di vegetazione dei funghi ed evitare che si lessino.
Tenere da parte e far raffreddare.
Lavare il verde del cipollotto e il prezzemolo, asciugarli e tritarli finemente.
Riunire i funghi ormai freddi in una ciotola, scolandoli dal liquido, e aggiungere le uova leggermente sbattute, la farina, il cipollotto, il prezzemolo e il casu ‘e vita sbriciolato. Mescolare bene il tutto con un cucchiaio. Regolare di sale (occhio che il formaggio è già ben sapido di suo) e pepe.
Scaldare una padella antiaderente con un goccio d’olio (ma veramente un goccio!) e versarci una generosa cucchiaiata di composto (o più di una se usate una padella grande per cuocerne più contemporaneamente ;) ), appiattitela leggermente con il dorso del cucchiaio, fino a raggiungere uno spessore di un cm scarso. Lasciar cuocere per qualche minuto a fuoco moderato. Quando i bordi iniziano a rapprendersi e a colorarsi e, sollevando leggermente il pancake, si vede che la superficie inferiore è dorata,  girarlo aiutandosi con una palettina e farlo cuocere anche sull’altro lato.
Proseguire allo stesso modo fino esaurimento dell’impasto.

Per il dressing: niente di più semplice: mescolare la ricotta con il latte, fino a creare una cremina vellutata. Volendo su può insaporire ulteriormente con erba cipollina, pepe etc, ma io avevo della ricotta e del latte talmente buoni e freschi che non volevo che il sapore ne fosse anche solo minimamente coperto ;)

Gnammy-time: servire i pancake caldi o tiepidi, accompagnati dalla salsina :)


Note:
  • per una versione ancora più leggera si può eliminare la feta e salare un po di più :)
  • i funghi pleurotus, per lo meno qui in FVG, sono ingiustamente bistrattati: sono buonissimi e saporitissimi, non a caso in sardo hanno un nome troppo kawaii: cardulinu ‘e pessa (=funghi di carne)
  •     io avevo del latte e della ricotta di capra che erano la fine del mondo, entrambi freschi di giornata, quindi la cremina spaccava  in alternativa si può fare con latte e ricotta vaccini sempre freschi, ma in mancanza della freschezza la ricotta S. Lucia è meglio che resti dov'è, ecco!


sabato 26 aprile 2014

Il quinto quarto in Sardegna: Sa trattalìa (di Nonna Cia ♥)


Io non sono una fanatica di interiora,  ma non certo per una questione di stomaco debole, infatti se il fegato alla veneziana, le bistecche di cuore, i fegatini di pollo non mi fanno impazzire, ci sono due cose che mi fanno letteralmente uscire di zucca: la testina al forno e la trattalìa allo spiedo. Babba bia che bontà.
Sarà perché sono pietanze legate a ricordi di infanzia, ma non le ho mai viste come cose truculente, ma come regalini che solo nonno e nonna ci facevano, che sicuro mia mamma non si metteva a spaccare a metà teste di agnello e cuocerle in forno né tantomeno a lavare intestini per confezionare simpatici involtini di interiora.
Sono il ricordo delle merende alternative a casa dei nonni, che spesso erano le patate di nonno, rigorosamente “fritte nell’olio”, come dice lui, che non sia mai qualcuno pensi che le frigga nell’acqua.
Ma se per caso qualcuno aveva comprato un agnello e se per caso l’ora della merenda era passata e si avvicinava l’ora del pranzo o della cena potete stare certi che  all’urlo di “chi vuole il cervellino venga quiiiiii” o di trattalìa prontaaaa!!” noi nipotini ci scapicollavamo come neanche un nugolo di locuste affamate per accaparracene un po’.
Recentemente, memore della mia infanzia felice, covavo una certa voglina di trattalìa , che, lo ammetto, non ho mancato di esternare smaronando sia nonna Cia che zio Br1 con varie e non troppo sottili allusioni ai suddetti bei vecchi tempi andati,  finchè, qualche giorno fa le mie preghierine sono state ascoltate.
Boh, sarà che il santo protettore delle bucce –che evidentemente ha un po’ di astio per il santo protettore degli agnelli-  mi ha preso in simpatia, sarà che qui in Sardegna per Pasqua a me hanno regalato le uova, ma a mio babbo un bell’agnello, e sarà semplicemente che ho una nonnina adorabile, ma fattostà che i miei desideri sono stati esauditi <3 nbsp="">
E quindi eccola qui, la trattalìa di nonna, una delle cose più megabuonissime e particolari che si possano mangiare in terra sarda :)


Per una trattalìa (che sfamerà 4 persone di buona forchetta :P):
Le interiora di un agnello o di un capretto:
fegato
cuore
polmoni
milza
omento[1]
ghiandole varie (parotidi, tiroide, timo)
Intestino (si utilizza solo il tenue)
Un pezzo di lardo crudo di maiale
Un moddissosu (= pane di patate) o pasta dura
Sale

Sciacquare sotto l’acqua corrente i vari organi, lavare molto bene l’intestino: questo è un punto foooondamentale: l’intestino va sciacquato sotto l’acqua corrente, un sacco di volte, facendovi scorrere l’acqua sia dentro che fuori l’intestino stesso, finché sarà perfettamente pulito, roseo, e senza nessun residuo. Importante è anche che l’intestino non deve essere tagliato, ma và tenuto intero.

Preparare i vari pezzi:
·         tagliare gli organi in pezzi di circa 5x5cm e tenerli da parte;
·         tagliare  il pane in fette di circa 2cm e grandezza sempre 5x5 (dimensioni orientative, eh!);
·         Tagliare il lardo di maiale[2] in pezzi di 5x5cm e spessore di circa mezzo cm.
·         Formare una matassina ordinata con l’intestino, in modo che quando sarà il momento di avvolgerlo intorno allo spiedo, non si attorcigli.

Dopo che i pezzi sono tutti pronti, preparare la trattalìa: 
In uno spiedo, infilare un pezzo di fegato, un pezzo di polmone, poi un pezzo di pane e un pezzo di lardo (1,2,3). 

Continuare alternando pezzi di organi a pane e lardo. avvolgere il tutto con l’omento (4), fermandolo eventualmente con uno stecchino. Infilzare un capo dell’intestino nello spiedo, poi arrotolarlo tutto intorno alla trattalìa, tendendo l’intestino con una mano, e girando lentamente lo spiedo con l’altra: fare attenzione che la matassina di intestino si svolga ordinatamente o vi ritroverete con un mega nodo (5) :P 

Quando tutta la trattalìa è avvolta, per fermare il capo dell’intestino, sollevare un pezzo di intestino già avvolto, infilarci sotto il capo libero e fermarlo con un nodo.
Appoggiare lo spiedo su una ciotola (6), in modo che l’umidità della trattalìa sgoccioli. Salare bene la trattalìa su tutti i lati.


Preparare il forno a legna:
in un lato del forno posizionare il sostegno per lo spiedo, quindi accendere il fuoco.
Quando le braci sono pronte e il forno caldo, spostare tutte le braci e i tizzoni a lato del forno e mettere lo spiedo a circa 30cm dalle braci, appoggiandolo sul sostegno precedentemente posizionato da un lato e fissandolo sul girarrosto dall’altro. Accendere il girarrosto e lasciare la trattalìa in pace, a cuocere per circa 40-60’ (7).
A fine cottura la trattalìa sarà dorata e croccante fuori e tenera dentro  ♥
Bloccare il girarrosto, prendere lo spiedo con uno strofinaccio e appoggiarlo in una ciotola (9). Tagliare la trattalìa in pezzi di circa 15 cm (8), quindi sfilare i vari pezzi dallo spiedo (sfilandola intera il rischio che si rompa è più che concreto :P), aiutandosi con il lato non tagliente di un coltello.

Non resta che leccarsi i baffi!! *_* a ogni boccone ci sarà il croccantissimo della crosticina esterna, la morbidezza e la scioglievolezza dell'interno *_* robe dell'altro mondo!


questa è nientepopò di meno che la mia proposta per l'MTC di questo mese!




[1] L’omento è una membrana sottile, ricoperta di tralci di grasso, che dallo stomaco scende sull’intestino ricoprendolo, come una sorta di grembiule;
[2] Il nonno aveva comprato una coscia di maiale intera, e noi abbiamo ricavato i pezzi di lardo dal grasso sottocutaneo della coscia in questione ;)

venerdì 11 aprile 2014

Una schiscetta per amica


Sono viva!
Sotto esami, ma viva. 
Gli effetti negativi dello studio intenso si sprecano, una budinizzazione che non vi dico, che gli unici allenamenti che faccio sono “sollevamento libri”, tra l’altro vanificato dall’altra faccia della medaglia: il sollevamento forchetta, un abbigliamento ancora più casual (nel senso di “a caso”) del solito.
La vita sociale poi. E che è?
Di solito in queste situazioni raggiungo l’involuzione più completa, che mi costringe a un legame indossolubile con il pigiama. Legame che viene spezzato solo quando una doccia non è più procastinabile, e solo per essere sostituito da un legame più forte con un nuovo pigiama, in una sorta di peccaminosissimo “chiodo scaccia chiodo” in versione pigiamesca.
Ma questa volta no.
Questa volta il pericolo è stato sventato dall’altrettanto insano rapporto tra me e la biblioteca di medicina: un posto che da dipendenza. Una volta che inizi a studiare lì non riesci a farne a meno: tavoli enormi, silenzio di tomba, e tutti i libri che ti servono (ovvero “la storia di come gli 80€ del libro di Medicina Legale sono diventati gli 80€ degli stivaletti da biker che ho puntato un mese fa” ). E soprattutto 0 distrazioni, che se per caso sei scazzato e inizi a guardarti intorno vedi solo nuche chinate sui libri, e il senso di colpa (ehm, cioè, l’amore per lo studio), ti riassale.
Ma poi arriva la pausa pranzo: quel momento magico in cui, accovacciata su un marciapiede, cerco di prendere quel po’ di sole che mi impedisce di diventare rachitica; 
quel momento in cui l’ultimo baluardo di mangiona che è in me resiste all’onda travolgente dello studio matto e disperatissimo: perché io dico NO al pranzo al  bar, io dico SI alla schiscetta!


#1 “OGGI GIUSTO UN PANINO”:  panino integrale con salmone, asparagi e mela verde

Per una porzione:
2 fette di pane di segale con semi misti crucchia-style
2 fettine di salmone affumicato
2 fettine di mela Granny smith (sbucciata)
Qualche foglia di scarola
4-5 asparagi verdi sottili
Sale & pepe


Sciacquare gli asparagi, tagliare le punte (circa 5-6cm) e, se necessario, pelare i gambi (i miei erano quelli sottili e teneri, non ce n’è stato bisogno). Lessare in abbondante acqua leggermente salata i gambi per 5’ e le punte per 2’. Scolare e lasciar raffreddare. Condire gli asparagi con una grattatina di pepe.
Tostare le fette di pane solo da un lato: per un panino croccante fuori e tenero dentro ;) 
Assemblare il panino mettendo tutti gli ingredienti nell’ordine che preferite, per me: fetta di pane – scarola – mela -  salmone – asparagi. GNAMMY!
NB se, come me, il panino lo preparate alle 8 per poi mangiarlo alle 13, è meglio non mettere il condimento dentro al pane, che se no si ammoscia: io impilo tutti gli ingredienti per il condimento, li avvolgo con la stagnola e poi al momento del pranzo assemblo ;)


#2 “COME TI RICICLO LE VERDURE ARROSTITE”: cous cous speziato con verdure al forno

Per una porzione:
50g cous cous
½ cucchiaino di ras el hanout (*)
1 cucchiaino di olio
Un pizzico di sale
200g di verdure arrostite miste: melanzane, peperoni, scalogno

Versare in un pentolino 50ml d’acqua insieme a un cucchiaino d’olio e un pizzico di sale. Portare a bollore, quindi aggiungere il cous cous e il ras el hanout, coprire e spegnere il fuoco. Lasciar riposare una decina di minuti, quindi sgranare con una forchetta. Mescolare il cous cous alle verdure (esatto, proprio quelle avanzate dalla cena prima :D) e via, nella schiscetta!

(*) il ras el hanout è una miscela di spezie marocchina, ogni bottega ha la sua ricetta credo, nella mia dentro c’è cannella, noce moscata, coriandolo, zenzero, curcuma, pepe nero, chiodi di garofano


#3 “SPRING TIME”: riso selvaggio con zucchine, basilico e limone confit

Per una porzione:
50g riso a chicco lungo selvaggio
1 zucchina
Qualche foglia di basilico
1 spicchietto d’aglio
Olio evo
Sale e pepe

Lessare il riso in abbondante acqua seguendo le istruzioni della confezione: la mia dice di cuocerlo per 30-35 minuti, aggiungendo il sale solo a 10’ dalla fine della cottura. Scolare e lasciar raffreddare.
Lavare e mondare la zucchina, tagliarla in quattro per il lungo e poi a fettine di un cm circa.
Scolare lo spicchio di limone dalla sua salamoia, sciacquarlo sotto l’acqua corrente, eliminare la polpa e tagliare la scorza a cubetti piccoli.
Scaldare un goccetto d’olio con uno spicchio d’aglio schiacciato, in modo che si insaporisca un po’. Eliminare l’aglio, quindi aggiungere le zucchine e saltarle brevemente a fuoco vivace,  le vogliamo dorate e croccanti ;)
Mescolare il riso con le zucchine ormai raffreddate, qualche foglia di basilico spezzettata e il limone. Pronto!

Note:
  • A parte il panino, che è meglio assemblarlo al momento, le altre schiscettine possono essere tranquillamente preparate la sera prima ;)
  • Le foto sono fatte col cellulare: chiedo venia, ma rendono bene lo spirito on the road (letteralmente) dei miei pranzi, non trovate? :D

mercoledì 19 marzo 2014

Spaghetti ai ricci di mare (freschi! Chè sò se ste robe in vasetto, su!)


Un sabato come un altro, con la sessione di esami alle porte, me ne vado fischiettando e saltellando al mercato. Durante il tragitto mi interrogo sui massimi sistemi: oggi a pranzo fregola con le arselle o pasta con le cozze? Arselle o cozze? Arselle o cozze? 
Arrivo in piazza consumata dal dubbio e fradicia, che fischiettando e saltellando l’ombrello andava per i fatti suoi e i miei piedi non perdevano una pozzanghera. E poi li vedo: I RICCI DI MARE. Un’epifania a dir poco.
Incrocio tutte e venti le dita che di quell’unico sacco rimasto me ne lascino almeno ½ kg, ché il mio ombrello è nuovo e non voglio romperlo duellando con qualche vecchietto armato di stampella.
Ma i ricci in realtà nessuno se li fila e arrivato il mio turno, azzardo un timido “me ne dia giusto mezzo kg, sa, una spaghettata per due…” ma ovviamente non riesco a resistere al “ciapa qua, 10 euro e te li porti a casa tutti!” dove per tutti si intende un sacchetto enorme e un kg e ciappilu di ricci.
E così, non prima di un sazio shopping anche al banco delle verdure, perché lo shopping mattutino o si fa per bene o non si fa, mi incammino verso casa.
La combo pioggia battente + buste di spesa pesanterrime + sacchetto dei ricci mi porta a esplorare nuove frontiere della camminata spastica da eccessivo carico: la camminata spastica con il ritmico e costante urto di fantabilioni di spine di riccio sui miei polpacci.
Tra un “ma perchè faccio sempre così?! Perchèèèè???” e molti “#!!!*x#@!” e un sacco di “AHIA” arrivo a destinazione.
Inizio a pulire i ricci, che sembrano troppi finché non inizio a fare “uno a te e uno a me”, sbaffandomeli crudi, con un po’ di limone e pregando il dio dei cagotti da pesce crudo di mandarmela buona anche stavolta.
Poi arriva il momento degli spaghetti: e tutti i “#!!!*x#@!”, le gambe a pois da punture multiple di riccio, gli aculei sparsi in mezza cucina, i vestiti fradici e le braccia doloranti sono svaniti in un mare di cuoricini e una tempesta di “PORCA #!!!*x#@! CHE BUONI!



Per quattro:
1kg di ricci di mare freschissimissimi
240g spaghetti
8 cucchiai di olio EVO
1 spicchio d’aglio
Un ciuffetto di prezzemolo

Pulire i ricci: sciacquare i ricci sotto l’acqua corrente e, con delle forbici, tagliarli a metà in senso trasversale (in pratica: vedete quella robina che sporge in mezzo agli aculei? Ecco, quella è la bocca, in cui potete notare *si aggiusta il monocolo* la lanterna di Aristotele. Dovete tagliare il riccio in modo da avere in una metà la bocca intera).
Sciacquare le due metà velocemente sotto l’acqua corrente, in modo da eliminare eventuali alghe e raccogliere in una ciotolina la polpa del riccio con un cucchiaino. La polpa, che poi sarebbero le uova del riccio, è solo la parte di color corallo, non quella marroncina!


Preparare la pasta: lessare gli spaghetti in abbondante acqua salata. Nel frattempo mettere l’olio in una padella ampia insieme allo spicchio intero d’aglio, schiacciato, e scaldare dolcemente il tutto, finché l’aglio si sarà dorato leggermente. Eliminare l’aglio.
Sciacquare il prezzemolo, asciugarlo e tritare le foglioline. Tenere da parte.
Quando gli spaghetti saranno al dente, scolarli tenendo da parte un mestolo di acqua di cottura. Versare gli spaghetti nella padella con l’olio e spadellarli con un po’ di acqua di cottura per qualche minuto, in modo da avere un sughetto cremoso. Spegnere il fuoco, aggiungere la polpa dei ricci e spadellare bene: con il calore della pasta e grazie a quel po’ di acqua di cottura la polpa si scioglierà e formerà una cremina che non vi dico! Servire subito, con una manciata di prezzemolo tritato.